Scatto all'Artista
nelle fotografie originali d'epoca di Giancolombo, '50-'60
La fotografia di GIANCOLOMBO tra l’artista e l’opera
di Matteo Giacomelli
Come veste Braque nel suo studio? E De Chirico, autore dei
Bagni Misteriosi, va al mare? E il grande Picasso, che disegna
tutti quei tori, guarda la corrida?
Queste potevano essere alcune delle curiosità tra il serio e
il faceto, che un lettore dell’Europeo, di Tempo, di Paris Match,
di Stern o di LIFE, poteva soddisfare sfogliando la rivista preferita
sulla poltrona del salotto tra la seconda metà degli anni cinquanta
e per tutto il decennio dei favolosi anni sessanta. Le avanguardie
artistiche dei primi decenni del Novecento che poi sono il Cubismo,
la Metafisica, il Surrealismo e che rispondono ai nomi di Picasso
e Braque, di De Chirico e di Dalì, dopo aver attraversato due
guerre mondiali, finalmente possono godersi il successo proprio
dei tempi di pace.
In mezzo a tutto ciò, tra il pubblico ghiotto di immagini e gli artisti
ormai affermati nel jet set internazionale, sta Giancolombo con
la sua agenzia, la Giancolombo News Photos con base a Milano
capitale dell’editoria. Giancolombo, autore di numerosi servizi
fotografici sugli artisti più noti al grande pubblico stampati in
migliaia di copie sui rotocalchi, pone se stesso in quella posizione
mediana tra l’artista e l’opera effettuando un’operazione di lettura
e riscrittura visiva assolutamente autoriale e perciò autonoma
e indipendente rispetto alle polarità rappresentate
dall’artista/creatore e dall’opera/creata e quindi ancor più preziosa
perché capace di colmare il vuoto che dalla cronaca passa
alla storia e quindi alla storia dell’arte. La fotografia diventa
perciò un’opera d’arte.
Sarà così che Braque ci appare nel suo studio di Parigi nel ’58
come un saggio antico dai capelli candidi e dalle mani intrecciate
e nodose che diventano il fulcro visivo dell’intera immagine, mani
di un fondatore ancestrale, di quel Cubismo generato con Picasso
nel lontano 1909, un tempo ormai quasi mitico.
De Chirico metafisicamente emerge dal fondo sfocato di un quadro,
qui ritratto da Giancolombo durante una visita alla mostra milanese
del fratello Savinio nel ’63.
Con Dalì invece l’arte e la vita coincidono senza interruzione
di continuità nelle foto scattate durante la performance al Teatro
La Fenice di Venezia nel ’61 dove giunge in carrozza con la moglie
Gala alzando in aria una pistola ancor prima di entrare a teatro
perché lui in scena ci sta di già.
Georges Mathieu il pittore gestuale, affronta in singolar tenzone
Dominguin con quei pennelli lunghissimi che sulla tela diventano
i segni di uno spadaccino zen ebbro di Orientalismo. Picasso,
il più famoso artista del XX secolo festeggia il compleanno a
Vallauris attorniato da un gruppo di fotoreporter con quegli occhi
più ardenti dalla sigaretta accesa che tiene in mano.
Il rapporto che lega Fontana e Giancolombo è speciale e l’artista
si avvale di lui per la documentazione partecipata dell’intera sua
opera fino al ’68. Sono fotografie di Ambienti Spaziali, di Concetti
Spaziali, di Buchi e Tagli che nascono dalla luce e che vengono
riportati in vita proprio grazie alla luce della fotografia, forse
il modo migliore per immortalare il ductus secante dell’artista
dello Spazialismo per il quale il superamento del limite della tela
altro non è che una lotta tra la materia e la luce sempre andando
oltre. In questa scrittura di luce Giancolombo incontra Fontana
lasciandoci un racconto originale e in gran parte inedito tra
il visibile e l’invisibile, nell’indicibile fragilità della vita
dell’uomo/artista e della compiutezza dell’opera, in quello spazio
del mistero a tratti illuminato da una fotografia.
ICONE PARTICOLARI
di Susanna Giancolombo
Il senso del ritratto, al di fuori dell’impostata fissità da studio,
nel fotogiornalismo si traduce in interpretazione rapida del soggetto.
Quando il soggetto è un pittore, è facile rappresentarlo tramite gli strumenti che lo circondano e che ne fanno il mestiere: tele,
pennelli, colori. Più difficile e impegnativo è cercare quel mestiere
in altri particolari.
Così fu per Georges Braque. Giancolombo, chiamato da Paris Match
per un servizio in esclusiva a Parigi nello studio del grande pittore,
assecondò le pose dell’uomo, nei dettagli, nelle espressioni, e scattò
infine il semplice primo piano del grande artista, un uomo anziano
con uno sguardo penetrante; per giungere a ritrarre solo le sue
mani incrociate in grembo nel riposo oppure nel momento della
creazione.
Così fu anche per Giorgio De Chirico, ritratto in spiaggia mentre
raccoglie una conchiglia; e l’istantanea riporta immediatamente alle
sue tele, ai Bagni Misteriosi, alla metafisica, al suo pensiero artistico.
Georges Mathieu invece venne colto mentre usa i pennelli, lunghi,
adatti alla sua astrazione pittorica e a esprimere la sua natura.
Giancolombo lo riprese con quelli, anche in una scherzosa immagine
di duello a casa del torero Dominguin, ognuno dei due con la propria
arma. Arte e movimento per Mathieu, come i suoi quadri.
Salvador Dalì è un caso a parte: vulcanico, imprevedibile, iconico,
il Pittore regalava sempre occasioni facili di immagini curiose, e lui
stesso era una delle sfaccettature della sua arte surreale.
Il reportage di Giancolombo è perfetto, nella sequenza della sua
performance tenuta al Teatro La Fenice e al suo arrivo in carrozza
al Festival di Venezia, pistola in pugno e Gala al suo fianco.
Anche Pablo Picasso era un’icona, forse uno dei maggiori promotori
di sé stesso attraverso il modo di porgere la sua immagine. Era
consueto ritrarlo in situazioni mondane e celebrative (di sé,
naturalmente). La scelta delle immagini in mostra è appunto una
commistione delle sue apparizioni.
Lucio Fontana merita un approfondimento: Giancolombo si recava
spesso nello studio di Milano per documentare le sue opere ed è
stato il fotografo della produzione dell’Artista dal 1951 fino alla sua
scomparsa nel 1968. I rapporti con l’artista erano frequenti e
cordiali, l’apprezzamento reciproco. Nella sezione d’archivio delle
fotografie a lui dedicate spesso Fontana compare accanto alle sue
opere - consentendo a volte di determinare il verso esatto di un
quadro. Verso la metà degli anni ’60 Fontana chiese una serie di
stampe delle fotografie scattate; l’attività di Fontana così certificata
ora è in copia alla Fondazione omonima, strumento indispensabile
alla catalogazione del corpo del lavoro.